Stivalaccio Teatro dimostra di conoscere la tradizione e i passaggi filologici che cercano di riscostruire il Teatro delle Arti ed in particolare " La Commedia dell'Arte" distinguendo il grano del palcoscenico dalla crusca degli scimmiottamenti storici. Dimostra di conoscere questo e anche altro e decide di andare oltre portando in scena le maschere degli iconici personaggi con anacronismi sapientemente sfruttati, un gusto popolare che diventa a tratti pop e giocando con la metateatralità nello stile del buffone moderno. Tradizione, traduzione e tradimento sono parole che sembra condividano molto e la compagnia veneta riesce a passarci attraverso senza dimenticare che il pubblico è in platea per ridere, mica per informarsi sulla storia dei comici italiani.
Il canovaccio è un recupero da Luigi Andrea Riccoboni (1676) e costumi, movimenti, dialoghi e discipline sceniche si mischiano sul palcoscenico portando il sapore di un teatro “di una volta” senza farci sentire il sapore di vecchio o muffito. Non è un riesumare antiche arti, anzi, è dimostrarne la modernità e la capacità di parlare al pubblico dei social, dell’intelligenza artificiale e della non-politica del 2000.
Arlecchino come al solito parla troppo, si allarga, prende spazio e il suo padrone Lelio è costretto a minacciarlo con il demonio che è imprigionato nel suo anello. Il servo allora promette di restare muto (“bubu”) fintanto che gli affari del padrone non avranno raggiunto il loro compimento, salvo poi scoprire che proprio la parola di Arlecchino avrebbe potuto risolvere tutto in breve tempo e il suo mutismo selettivo costringe tutti a complicazioni, intrecci, sfide e combattimenti a fil di spada per sgarbugliare il tutto. “Perché non ce lo hai detto prima, Arlecchino!?”.
Marco Zoppello, regista e interprete della maschera che da il nome alla pièce, riesce a mettere al centro del canovaccio il suo personaggio senza togliere spazio alla moltitudine di delizie caratteriali che si alternano sul palcoscenico. Fra queste Mario Lanternani, interpretato da Michele Mori, che non cade mai, neanche per un momento, nella macchietta che potrebbe di molto danneggiare il contributo del personaggio al successo dello spettacolo. Ridicolo e fallito come solo i migliori clown sanno essere, diventa l’Augusto di tutti i personaggi creando dinamiche favolose e facendoci affezionare a lui, a quella maschera senza maschera, che interpreta fino a godere sinceramente del suo successo finale.
Spiace solo non poter dedicare ad ognuno abbastanza spazio per descrivere come sulla scena han dato uno specifico apporto per arrivare al successo. Velocemente li cito. Bellissima accoppiata del pantalone di Stefano Rota (poi anche stupendo capitan-carabiniere) la cui malizia scenica si intravede ad ogni gesto, e la “pantalona” Stramonia Lanternani interpretata da Anna De Franceschi la cui presenza scenica riusciva ad unire tutte le partiture fisico-verbali della fraternal compagnia. Le innamorate Maria Luisa Zaltron e Zelia Pelacani spettacolari nel dare forza a una maschera spesso sottovalutata persino dagli addetti ai lavori. Fabio Gorgolini prende il giusto spazio in scena e crea un ritmo rullante con Marco Zoppello in un continuo scambio di battere e levare. Sara Allevi con la sua serva Violetta crea nell’immediato un ottimo rapporto con il pubblico, mentre il suo spasimante Trappola interpretato da Pierdomenico Simone raccoglie tutte le antipatie permettendoci di godere del lieto fine dove non tutti possono esser felici e contenti (la felicità, nella lotta contro i potenti, è un’equazione a somma zero).