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Le recensioni di Mario
DUE GIORNI AL FESTIVAL''DANZA URBANA" A BOLOGNA
5 PERFORMANCE IN GIRO PER LA CITTA'
Essere spettatore privilegiato, per la prima volta, a Bologna, anche solo per solo due giorni, al Festival “Danza urbana”, diretta da Massimo Carosi, è stata per noi una bellissima e feconda occasione per immergerci in diverse performance, foriere di grande suggestione che si sono snodate in varie località della città felsinea a cospetto di molti spettatori interessati ma anche coinvolgendo passanti e intere famiglie.




Da subito la nostra curiosità è stata felicemente premiata al Giardino del Cavaticcio, polmone verde, situato vicino alla Manifattura delle arti, per la curiosa coreografia di Richard Mascherin, “Vacío espiritual” che ogni volta abbraccia in modo diverso i luoghi nei quali viene rappresentata, dove il performer canario, assecondato dalla diversificata live music di Alejandro Da Rocha, si lascia andare a una successione di incidenti, rotture e cadute che lo fanno immergere anche nello specchio d'acqua al centro del giardino. Il corpo di Richard, nel tentativo di trovare un suo giusto equilibrio, cade e si rialza continuamente. approssimandosi anche agli spettatori in un gioco continuo di sconfitte e di vittorie, di tonfi e rinascite che plasmano la danza di emozioni, assecondate anche ad un certo punto dal coro verdiano “ Va pensiero” e che si risolvono finalmente in una grande pace con il suo corpo che giace inerte nell'acqua.

Lì vicino, al Parco 11 Settembre, il nostro sguardo, in un luogo aperto, si concentra su Rita Di Leo che volteggia sicura sui pattini, mentre ascolta musiche dalle sue cuffie e si riprende con il proprio cellulare, finchè uno sparo che si ripete con insistenza non la fa continuamente cadere. Curiosamente, anche qui la danza, connentendosi questa volta con il teatro e lo Sport, come nella performance precedente si presenta con un continuo cadere e alzarsi, ma in una dimensione diversa, nella quale il pubblico non partecipa, può guardare soltanto, provando nel contempo quando la maschera le cade mostrandone il vero aspetto nascosto, empatia con quello che le sta succedendo. Siamo davanti a “Swan” del giovane coreografo siciliano Gaetano Palermo che prende ispirazione in modo assolutamente contemporaneo, dall’assolo “La morte del cigno” che Michel Fokine coreografò per Anna Pavlova nel 1901.

Tornati al Giardino del Cavaticcio siamo presenti a “Mirada“ di e con Elisa Sbaragli da noi osservata con fatica da lontano mentre ci porge a sua danza che però si riflette anche in un monitor vicino a noi. Così siamo noi che attraverso un gioco di vicino e lontano, di realtà e della sua rappresentazione che spesso si mescolano tra loro, ne scegliamo di volta in volta il punto di vista

Lo spettacolo che, posto nel grande spazio del cortile dell'Istituto Storico Parri, ci ha più intrigato è stato senza dubbio “El resto del naufragio” del catalano Roberto Olivan, già danzatore per Anne Teresa De Keersmaeker e Robert Wilson, che in scena si avvale dell'eccezionale presenza della performer cubana Chamely Hernandez,
che danza in modo prodigioso e ammaliante sulla musica dal vivo, eseguita da Pino Basile e Oliver Viquillòn Rodrìguez. Il clima ecclettico e popolare di paesi diversi, ma in qualche modo di radice affine, di Italia, Spagna e Cuba, vengono reinventati in scena dalla danza pirotecnica di Chamely, partendo dalla tarantella che fonde e contamina la nostra tradizione del Sud con quelle di altre culture non solo musicali. Ed è naturale che alla fine anche il pubblico si metta a ballare.

A fare da trait d'union coreografico al Festival ci ha pensato il maestro Virgilio Sieni con il suo “ Sleep in the car” diviso in 5 momenti, collocato in altrettanti luoghi della città, giardini e piazze. Qui una vecchia Citroen Diana prende diversificata forma emozionale attraverso la Danza di 3 performer che avevamo già apprezzato in altre occasioni, Jari Boldrini, Sara Sguotti e Maurizio Giunti, anche con la musica di Domenico Scarlatti. La macchina, attraversata da multiformi sentimenti, diventa uno spazio iconico, simbolico, della condizione umana del nostro tempo. Il piccolo abitacolo della vettura, scomodo e respingente da vivere, a tratti ci pare poterci donare di contro un senso nuovo di libertà, un nuovo spazio in cui rifugiarci anche per fare all'amore e subito dopo, di contrappasso, ci pare invece un simbolo di costrizione, dell’unica possibilità di avere una casa da poter abitare.

MARIO BIANCHI

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