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MONTEVERDI O TRE MODI PER METTERLO IN SCENA
DE ANGELIS,PIZZI,LIVERMORE PER IL RITORNO DI UISSE IN PATRIA
L'ULISSE DI MONTEVERDI O TRE MODI PER METTERLO IN SCENA
La possibilità di aver visto in pochi anni tre versioni di “Il ritorno di Ulisse in patria” di Claudio Monteverdi, ci dà l'estro e la possibilità, di poter approfondire in quanti modi, l'opera barocca,ma non solo lei, possa essere messa in scena oggi e per di più un 'opera cosi meravigliosa e complessa come il capolavoro del Divino Claudio. Abbiamo assistito infatti negli anni recenti a tre regie assolutamente discordanti tra loro, di originale e forte efficacia, dovute ad artisti assolutamente diversi per stile, formazione ed età: Luigi De Angelis , Pier Luigi Pizzi e Davide Livermore con curiosamente  Mauro Borgioni che in tutte e tre interpreta l'eroe greco.
“Il ritorno di Ulisse in patria” è la prima scritta da Monteverdi per un teatro di Venezia, un’opera complessa, ricca di sfumature, in cui i personaggi, in tutte le loro sfaccettature umane, dagli dei ai nobili ai popolani, sono rappresentati dal librettista Giacomo Badoaro in perfetto connubio con Monteverdi: parole, canto e musica si uniscono per ridonarci un teatro dei sentimenti allo stato puro. E qui sta la sua grandezza: non ne possiamo intonare forse alcuni brani, come succede per “Orfeo” o soprattutto per “L’incoronazione di Poppea”, ma la musica agisce come pura, fulgente rappresentazione del personaggio, e spesso recitativo e aria si intersecano tra loro per ridonarci un teatro dei sentimenti allo stato puro.
La vicenda che vede Ulisse protagonista è preceduta, come accade sempre in Monteverdi, da un prologo in cui l’Humana Fragilità, contrapposta al Tempo, alla Fortuna e all’Amore, deplora la sua condizione mortale.
Durante i tre atti che compongono l’opera viene raccontato il ritorno di Ulisse ad Itaca dopo la guerra di Troia e le sue famose peregrinazioni sul mare.
Ne seguiamo l’arrivo ad Itaca, camuffato da vecchio mendicante, con la vendetta sui Proci dopo la famosa prova dell’arco, aiutato dal figlio Telemaco e dal fedele pastore Eumete.
L’opera si conclude con l’incontro dell’eroe greco con la moglie Penelope, che dopo i primi tentennamenti finalmente, con l’aiuto della vecchia balia Euriclea, lo riconosce.
Della partita sono anche l’ancella Melanto e il suo amante Eurimaco, e Iro il pitocco, che si contrappone a lui in una gara di lotta.
Ovviamente su ogni cosa vegliano gli Dei, spesso vendicativi, altre volte di grande generosità: Giove, Nettuno, Minerva e Giunone.
La musica agisce come pura e fulgente rappresentazione dei 19 personaggi, restituendocene sulla scena la loro intima natura, con l’intrecciare sublime di recitativi e arie.
Molti i momenti da incorniciare di questo capolavoro misconosciuto, di rara e difficile rappresentazione: il lamento iniziale di Penelope (“Di Misera Regina”, con la ripetizione di quel “Deh torna, Ulisse, torna” che entra nel cuore), l’abbraccio commovente e commosso tra Ulisse e il figlio Telemaco (“O padre sospirato, O figlio desiato), il meraviglioso lamento di Iro il pitocco, personaggio secondario che viene nobilitato da un’aria colma di melanconia nella sua apparente stoltezza (“O dolor, o martir che l’alma attrista ), il riconoscimento di Penelope con il marito (“Sospirato mio sole! Rinnovata mia luce!… Del piacer, del goder venuto è ‘l di. Sì, sì, vita, sì, sì core, sì, sì!”).

Partiamo da Luigi De Angelis del collettivo Fanny e Alexander, il cui cammino artistico seguiamo sin dai suoi inizi e che ultimamente ci ha entusiasmato con la sua regia de La Trilogia della Città di K. Di Agota Kristof e che aveva già incontrato Monteverdi, catapultando efficacemente Orfeo in una metropolitana. Qua ne “Il ritorno di Ulisse in patria” (con i bei costumi e la drammaturgia dell'inseparabile Chiara Lagani) sceglie di iniziare il suo allestimento con il video di Ulisse disteso come lo hanno lasciato i Feaci. Itaca sul palco, è un luogo idilliaco popolato da sagome di alberi e animali, governato dal fedele Eumete. La rappresentazione è volutamente Pop : I Proci sono dei fannulloni che, per passare il tempo, si dedicano alla Play Station. Penelope è invece una donna elegantissima che abita solitaria su una poltrona vivendo la sua solitudine. Ad un certo punto a farla da padrone ecco un bellissimo arco dorato, vero risolutore della storia. Tutti i personaggi, tra passato e presente, sono sempre ben caratterizzati, con gli Dei luccicanti che si muovono in uno spazio che le luci rendono etereo.

Eccoci poi a Ravenna davanti alla versione del Maestro novanticinquenne Pier Luigi Pizzi, che ovviamente non ha bisogno di presentazioni, avendo attraversato da oltre cinquant'anni con le sue regie tutto il repertorio dell'opera italiana e non solo. Pizzi colloca la maggior parte degli avvenimenti in un ambiente bianco e rettangolare, con cinque porte, mentre il soffitto lascia presagire un firmamento. Le tre porte al fondo si aprono per lasciare spazio agli avvenimenti di raccordo, illuminati da colori che ne esprimono i sentimenti.
Tutto viene raccontato in modo assolutamente scevro da ogni possibile barocchismo, con pochissimi segni che definiscono in modo preciso personaggi e situazioni. Ecco quindi il telaio, il letto nuziale, il trono di bianca e semplice geometria per Penelope, il fulmine che caratterizza Giove con l’evidenza del suo fisico possente, accompagnato da un vero meraviglioso falcone, il tridente per Nettuno, l’elmo per una Minerva di bianco vestita, un bastone per il mendicante, un grande arco che inutilmente i tre Proci cercano di utilizzare.
Tutto è espresso attraverso una eleganza formale di autentica meraviglia nella sua estrema semplicità di accenti.


E veniamo all'ultima trasposizione che è in scena in questi giorni a Cremona al Monteverdi Festival, dovuta a Davide Livermore, direttore del Teatro Nazionale di Genova dal 2020 e che nell'opera, dati i suoi trascorsi in scena, persino interpreta con assoluta efficacia il personaggio di Iro,il pitocco. Le sue caratterizzazioni delle opere che abbiamo visto dal vivo con grande felicità ( “Ciro in Babilonia, Il Turco in Italia, Macbeth ) sono punteggiate da evidenti richiami cinematografici e dall'uso narrativo delle video proiezioni che anche a Cremona sono fondamentali nel raccontare la vicenda di Ulisse.
Livermore dividendo l'opera in due parti e non nei canoici tre, anche qui strizza l'occhio al cinema estrapolandola da un sentore epico per catapultarla nella quotidianetà di caratteristico ambiente paesano degli anni ' 50 con le grandi pubblicità del dado Star che giganteggiano in scena,dove la nostra memoria ci riporta visivamente a Germi, Visconti , Rossellini , dove i Proci sono dei Mafiosi, gli dei figure civettuole che ricordano le star hollyvoodiane.
Bella anche la caratterizzazione dei sentimenti che pervadono non solo i personaggi principali, Euriclea, vista come una vera e propria serva, che sentento Melanto e Eurimaco parlare d'amore, si commuove pensando alla sua condizione solitaria, i Proci che donano a Penelope, gli stessi gioielli strappati a Fortuna, o l'Umana fragilità che all'inizio ci appare nella sua caduca nudità .
Anche le videoproiezioni accompanano gli stati d'animo e suggeriscono gli spazi in cui la vicenda viene ambientata.
Tre regie dunque, tre modi di rappresentazione di una storia antica che fa parte indiscutibilmente del nostro immaginario e che Monteverdi è riuscito a restituirci in modo davvero esemplare con la musica e le parole Giacomo Badoaro ma che solo il Teatro con il suo essere contemporaneo è stato capace di farla rivivere per gli spettatori di oggi. Con buona pace dei Tradizionalisti che metterebbero in scena le opere solo come sono state rappresentate la prima volta, Luigi De Angelis , Pier Luigi Pizzi e Davide Livermore in tre modi diversi ci hanno riconsegnato intatta la sua magnificienza senza stravolgerne i significati e la narrazione, ma anzi arricchendola di echi a noi vicini e riconoscibili.

MARIO BIANCHI

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