“Epiphania. Mi rendo manifesta” di Abbondanza Bertoni, “Stranger in the nigh “di C&C Company e “Asteroide “ di Marco D’Agostin
Non ci era mai successo a nostra memoria di uscire dal peregrinare in estate da festival a festival di avere nel cuore e nella mente, soprattutto, ben tre spettacoli di Danza . Quest’anno è accaduto con “Epiphania. Mi rendo manifesta” di Abbondanza Bertoni, “Stranger in the nigh “di C&C Company e “Asteroide “ di Marco D’Agostin. Messi in questo modo non a caso, perché, passando dall’uno all’altro, vedremo come la Danza sembrerebbe latitare sempre di più, ma dove invece consumandosi in altri modi, pur ne è la matrice essenziale, testimoniando come possa essere un linguaggio fondamentale della scena che può integrarsi con gli altri linguaggi arricchendoli sempre in modo prorompente .
“Femina”, il precedente lavoro di Abbondanza Bertoni, era stato un viaggio nell’universo femminile, proposto allo spettatore come esaltazione di uno stato unico e irripetibile nel suo splendore.In “Epiphania. Mi rendo manifesta”, sempre concepito da Antonella Bertoni, che abbiamo visto a Inequlibrio, il clima cambia completamente: pochissima luce si irradia sul palco, interamente coperto, in tutti i suoi lati, di nero. Le generosissime Sara Cavalieri, Valentina Dal Mas e Ludovica Messina Poerio, solo alla fine, ed in modo sofferente, ci mostreranno i loro visi: prima,
Così da quel nero che abbraccia tutto il palco in modo ossessivo sulle
musiche tormentose e tormentanti di Sergio Beercock, è un continuo manifestarsi improvviso di visioni perturbanti composte da braccia, di gambe, di glutei, di donne a pezzi e pezzi di donna, dentro il quale lo spettatore si perde in modo angoscioso.
In scena vi è un continuo tentativo di ricomporre, nella sua espressione totale, una corporeità che è sempre stata vilipesa e spezzata. E anche quando la danza sembra avere qualche sbocco conclusivo, il corpo non riesce ad ergersi in modo autonomo, ma stramazza al suolo, e alla fine il colore del sangue ha la sua giusta dolorosa vittoria. Nel medesimo tempo così al pubblico indelebilmente appare però che quei corpi vilipesi manifestino anche una forza intima di ricomposizione nell'unicità di un'entità meravigliosa che invece andrebbe preservata e non vilipesa. Antonella Bertoni inventa ancora una volta in “Epiphania, Mi rendo manifesta” una nuova coreografia di grande impatto visivo ed emozionale, dove il corpo femminile, pur, e proprio nel suo continuo smembrarsi, ha la sua completa ed esplosiva realizzazione.
Dí grande impatto a Kilowatt, pur nella sua illusoria messa in scena, ci è parso “Stranger in the nigh “di C&C Company , dove troviamo protagonista il nostro Carlo Massari con gli inglesi Linus Jansner e Jos Baker e che, non solo per la loro presenza , ma per la sua originale consistenza , proietta lo spettacolo in ambito internazionale
Massari lascia campo aperto subito a Jasner in un gioco coreografico, dove nulla sembra quello che è , e infatti “This is not the beginning “‘ ci dice subito Baker e per tutto il tempo sarà un semplice tavolo ricoperto da una elegante tovaglia , il campo di battaglia per regalare al pubblico con il movimento, un coacervo di illusioni. La metamorfosi kafkiana, addotta come fonte del lavoro , è solo un pretesto per ingarbugliare i nostri occhi, per suggerirci il diaframma sottile tra vero e non vero, tra commedia e tragedia, infrangendo anche la quarta parete, dove i tre performer cercano sempre di parere in dissonanza tra loro, pur essendo indelebilmente legati, anche quando si nascondono alla nostra vista .
La danza tra tragedia e commedia si sussegue con forza davvero stupefacente,mescolando forme e modi diversi, fin quando la creatura, lo straniero, fuggendo atterrito dal palco, inseguito da forze maligne ci appare vicino . Ecco che alla fine però il tutto sembra ricomporsi con Frank Sinatra e il suo "Strangers in the night", irradiando di calma il palcoscenico.
Eccoci poi , infine, per Bolzano Danza ,ad “Asteroide “di Marco D’Agostin , artista che ci pregiamo di seguire sin dagli inizi della carriera. Qua , a ben vedere, nonostante sia un omaggio al Musical, con citazioni anche fisiche da “Bob Fosse a Dancer in the Dark”, la danza fa fugace apparizione in pochi momenti , ma lo fa in vari modi diversissimi,
attraverso la gestualità, il ritmo delle canzoni, appositamente scritte, con il musicista Luca Scapellato, apparizioni da intrattenimento televisivo, intersecandosi sempre con la parola, resa, in pari grado, con maestria . Infatti Asteroide utilizza tutti i linguaggi testuali tradizionali della scena :
il monologo la conferenza , la sit com, la comicità slapstick, il rapporto con il pubblico e il dialogo costruito con uno di loro, modalità che si influenzano, ammantandosi ogni volta di post drammatico.Lo spettacolo riesce a fondere nella sua drammaturgia, insieme, poi , attraverso l’ironia, il cielo e la terra, la caduta dell’asteroide del titolo e l’ipotizzata estinzione dei dinosauri, con la fine improvvisa di un amore raccontati da un improbabile paleontologo : perché , a ben pensarci , gli affetti sono come le rocce, lasciano su di noi segni indelebili che assomigliano molto a quelli lasciati , nelle ere geologiche della nostra madre terra , dai passaggi di ogni specie animale e materiale. E anche quando ci sembra che tutto sia in disfacimento intorno a noi , come se fossimo stati colpiti da un’asteroide, forse non ci resta che cantare e ballare, tenendo stretto nella nostra memoria, solo ció che ci ha fatto vivere la vita , in modo tale , da sembrare degna di essere vissuta .
MARIO BIANCHI